Caro Settembre 2025: la lista è corta, le intenzioni sono chiare
Settembre è il mio capodanno (e non ho bisogno di fuochi d’artificio)
Ogni anno succede la stessa cosa: c’è chi aspetta la lettera per Hogwarts, io attendo Settembre. È il mio capodanno non ufficiale, quello che profuma di quaderni nuovi, to-do list senza briciole e pagine bianche che non fanno paura. Non servono glitter né propositi chilometrici: mi basta un calendario pulito e qualche decisione presa con la testa fredda e il cuore caldo. Perché sì, lo so: a Settembre siamo tutti bravissimi a promettere. La differenza, però, sta in quello che resta a Marzo.
Cinque anni di Settembre: cosa è rimasto davvero
Gli ultimi cinque Settembre non sono stati lineari. Hanno avuto strappi, deviazioni e ripartenze. Eppure, se mi guardo indietro, vedo una serie di “cerchi chiusi” che prima erano solo desideri appuntati a margine.
#1 Il lavoro: scegliere una base per costruire più in alto
C’è stato un momento in cui “tempo indeterminato” mi sembrava sinonimo di gabbia. Poi ho cambiato prospettiva: libertà non significa necessariamente precarietà, significa poter scegliere. Ho scelto una base stabile su cui far crescere il resto: progetti, studio, creatività. È stato come mettere fondamenta nuove sotto una casa che stavo già arredando.
#2 CLARA: innamorarsi di un progetto (sul serio)
Avevo scritto “innamorarmi di un progetto” e non era una frase fatta. CLARA non è solo codice: è disciplina, visione, piccoli rilasci che ti cambiano la giornata. È la relazione complicata che però ti fa diventare migliore: backlog che morde, bug che insegnano, momenti in cui capisci che stai costruendo qualcosa che ha senso anche oltre di te. E quando succede, la stanchezza pesa la metà.
#3 Inglese: dalla buona intenzione alla routine
Per anni ho “rimandato all’inglese”. Poi, pian piano, è diventato un’abitudine concreta: quindici minuti al giorno, poi venti, un podcast, due mock, qualche riunione in cui—magia—le parole arrivano da sole. Non perfetto, ma presente. E soprattutto misurabile: è questo che separa un desiderio da una competenza.
#4 Tornare a guidare: autonomia in tasca
Non diventerò mai un pilota di rally e va benissimo così. Però ho rimesso le mani sul volante e, con loro, la mia autonomia. Poche righe per raccontarlo, ma la sensazione è enorme: tornare a muoversi senza chiedere passaggi, senza incastri impossibili, è libertà pratica.
#5 Casa: le scadenze sono bussola, non ghigliottina
Avevo dato una data, non l’ho rispettata. Fa niente. Quell’obiettivo si è spostato di qualche mese, ma è arrivato. Le chiavi in mano fanno più rumore del perfezionismo. Ho imparato che la timeline è un alleato: ti orienta, non ti giudica.
#6 Dal Java al Full Stack: mattoni, non fuochi d’artificio
Chiudere il cerchio con Java non è stato un punto di arrivo, ma di partenza. Ho aperto il percorso Full Stack con lo stesso approccio: moduli piccoli, sassi messi uno sull’altro, una demo che funziona prima di un’architettura che “sembra” bellissima. Il portfolio non è una vetrina, è un cantiere vivo: meglio un progetto reale che dieci slide patinate.
Cosa ho imparato, davvero
La costanza non si compra, si coltiva riducendo gli attriti. Se devo far partire una maratona ogni volta che apro l’IDE o il libro d’inglese, non durerà. Funziona quando basta un gesto: apri, fai, chiudi. Anche le priorità non “si trovano”: si tagliano, e quello che resta è ciò che conta. Ho smesso di innamorarmi della versione perfetta e ho iniziato a rispettare la versione 1.0: più onesta, meno sexy, ma l’unica porta che porta alla 1.1, e poi alla 2.0.
Il metodo per non mollare a ottobre
Ho riscritto le regole in modo scomodo ma efficace. Prima il calendario, poi l’entusiasmo. Ogni obiettivo deve esistere nello spazio e nel tempo: giorno, ora, durata. Ho abolito il multitasking e ho adottato il time-box; quando lavoro sul serio, il telefono fa la nanna. Ogni quattro settimane faccio una retro semplice: cosa ha funzionato, cosa no, cosa cambio. Smettere di inseguire l’idea perfetta è stato liberatorio: done > perfect non è uno slogan, è un salvagente.

Perché la lista è corta (e resterà corta)
Le liste infinite fanno sembrare tutto importante e quindi niente prioritario. Pochi obiettivi sono un atto di fiducia: nella mia capacità di scegliere, di dire dei no, di sorprendere me stessa con la continuità. Non devo fare tutto; devo fare bene quel poco che sposta davvero l’ago.
Obiettivi entro dicembre 2026
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CLARA: beta pubblica solida, 5 funzionalità core validate in produzione su team reali, due cicli completi di feedback→fix→rilascio e documentazione usabile anche da chi non mi conosce.
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Inglese: certificazione B2 acquisita e speaking fluido in contesto lavorativo (riunioni, demo, retro), con pratica quotidiana reale e 1 mock al mese.
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Full Stack: 2 progetti in produzione (uno front-end SEO-first e accessibile; uno back-end con API documentate, test e CI/CD), portfolio pubblico con README seri e demo navigate.
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Business: un’unica offerta core—restyling siti + gestione progetto con CLARA—con listino in tre pacchetti e almeno 3 deal chiusi su pacchetti standard, zero fuori-scope.
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Routine sostenibile: 4 allenamenti a settimana compatibili con la schiena, 7 ore di sonno medio, decluttering digitale mensile e una retro personale ogni 4 settimane.
Per ogni obiettivo esistono due numeri che non mentono. Su CLARA guardo agli utenti attivi e alle funzionalità usate, non solo ai commit. Sull’inglese, i risultati dei mock e la mia sicurezza in call. Sul Full Stack, la durezza della produzione: log puliti, latenza, build che non saltano. Sul business, i contratti firmati e il rispetto dello scope; sulla routine, la frequenza reale, non le intenzioni. Tutto vive in una dashboard unica, visibile, aggiornata. Niente metriche vanity, niente Excel fantasma.
Il perché dietro ogni sì (e dietro ogni no)
Dire sì a questi obiettivi significa dire no al resto: ai progetti carini ma diluiti, alla mania di migliorare cinquanta cose insieme, alle “emergenze” che emergenze non sono. Ogni sì pesa perché rappresenta tempo, energia e fiducia. Se un obiettivo non sopravvive al calendario, esce. Se un’attività non mi avvicina agli esiti che voglio, la spengo. È spartano, lo so, ma la pace mentale che ne deriva è impagabile.
Conclusione
Caro Settembre, sei ancora quel mese che mette addosso la frenesia buona. Mi ricordi che posso ricominciare quando voglio, ma se ricomincio il 1° mi regali l’inerzia giusta. Quest’anno non mi nascondo dietro le promesse: scelgo poco, faccio meglio, misuro senza pietà. Sì alle cose che mi allargano la vita—CLARA, l’inglese che diventa naturale, il codice che respira in produzione—e no alle pagliuzze che rubano ore. Se inciampo, mi rialzo. Se deraglio, ricalcolo. E se serve, taglio. Focalizzata, leggera, ma tosta: così voglio attraversarti, Settembre.
Qual è l’unico obiettivo che—se lo porti a casa entro novanta giorni—ti cambia il resto dell’anno? Scrivilo, mettilo in calendario, scegli due numeri per misurarlo. Al resto penserai dopo. Il 1° Settembre non è un interruttore magico: è una scelta consapevole. Io l’ho fatta. Ci vediamo tra quattro settimane, alla prima retro.
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