Regressione in 90 minuti: suite minima
Regressione in 90 minuti
Fare regressione oggi significa camminare su un filo: da una parte hai la pressione delle release continue, dall’altra il terrore di rompere qualcosa di critico per il business. Il tempo non basta mai, le richieste aumentano, ma la qualità non è negoziabile.
Da qui nasce l’idea di regressione in 90 minuti: una sessione breve, concentrata e ad alto impatto, in cui esegui una suite minima di test pensata per intercettare i rischi più grossi senza bloccare il flusso di rilascio. Non è magia né ottimismo tossico: è progettazione consapevole.
Se la tua regressione dura ancora ore (o giorni) e ti senti trascinato da casi di test che nessuno ha mai avuto il coraggio di cancellare, questa guida è per te. Vediamo come costruire una suite minima che stia davvero dentro 90 minuti e che, soprattutto, abbia senso.
Che cosa significa “regressione in 90 minuti”
Quando si parla di regressione, di solito emergono due estremi: o la visione “testiamo tutto perché non si sa mai”, oppure quella “non c’è tempo, facciamo due click e speriamo bene”. La regressione in 90 minuti è la via di mezzo ragionata: un timebox fisso in cui esegui solo ciò che ha il miglior rapporto tra tempo investito e rischio coperto.
Non è una regressione completa, è una regressione minima ragionata. L’obiettivo non è dimostrare che il software è perfetto, ma ridurre il rischio che una release mandi in crisi funzionalità critiche, flussi di business centrali o elementi che toccano soldi, dati sensibili e reputazione.
Immagina di avere a disposizione una sola ora e mezza prima di dare il via libera alla produzione. In quel tempo ti serve una suite che:
-
copra i flussi davvero critici
-
sia eseguibile da un tester umano normale, non da un supereroe caffeinato
-
non dipenda da preparazioni lunghissime o da persone specifiche
La suite minima è la risposta a questa domanda: “Se avessi solo 90 minuti, cosa testerei per non dormire malissimo stanotte?”
Perché ti serve una suite minima di regressione
Una suite minima non è un lusso, è una forma di igiene del processo. Nel tempo, ogni progetto accumula casi di test come una casa accumula cianfrusaglie in cantina. Nessuno butta via nulla, per paura. Il risultato è una regressione ingestibile, fatta di passi ridondanti e scenari che non riflettono più il prodotto reale.
Una suite minima di regressione ti serve per diversi motivi. Prima di tutto, perché la realtà del lavoro è fatta di tempi stretti, ritardi di sviluppo, bug imprevisti e release che slittano. Il “piano ideale” raramente si realizza, quindi hai bisogno di un piano sostenibile.
Poi c’è un tema di focus. Se tutto è importante, niente lo è davvero. Una suite piena di casi di test mediocri finisce per diluire la tua attenzione e farti perdere proprio il bug critico che dovevi vedere. Ridurre il numero di test non significa abbassare la qualità, significa smettere di sprecare energia su controlli che non cambiano davvero il rischio.
Infine entra in gioco l’aspetto di comunicazione. Quando hai una suite minima chiara, condivisa e documentata, è più facile spiegare al team di sviluppo e agli stakeholder che cosa è stato testato, cosa no e quali sono i limiti della regressione. Non parli più in termini vaghi, ma mostri scelte esplicite.
Concetto di suite minima: non poca, ma essenziale
Sentire “suite minima” può far paura. Sembra sinonimo di “testiamo poco”. In realtà il senso sta nel concetto di essenziale, non di scarso. Minimalismo nel testing significa selezionare i casi che aggiungono valore, non tagliare a caso.
Una suite minima di regressione dovrebbe concentrarsi su tre assi principali. Il primo asse riguarda i flussi core di business, quelli che se si rompono impattano subito fatturato, utenti o contratti. Il secondo asse copre le aree che sono state toccate dalla release: nuove funzionalità, refactoring, integrazioni. Il terzo asse protegge le dipendenze delicate, ad esempio integrazioni con terze parti, calcoli complessi, gestione dei dati sensibili.
Ogni caso di test nella suite minima deve potersi giustificare con una risposta chiara alla domanda “Quale rischio sto riducendo eseguendo questo caso?”. Se non sai rispondere in modo convincente, quel test è un candidato a uscire dalla suite critica e magari vivere in una suite estesa da usare quando hai più tempo.
I criteri per selezionare i test della suite minima
Per costruire la suite minima di regressione in 90 minuti serve un lavoro di selezione molto meno banale di “prendiamo i test già esistenti e scegliamo quelli più veloci”. La velocità conta, ma arriva dopo la rilevanza.
Un primo criterio è la criticità del flusso. Per ogni processo significativo dell’applicazione chiediti che cosa succede al business se quel flusso si rompe. Se il danno potenziale è alto, quel flusso merita almeno un test nella suite minima.
Un secondo criterio riguarda la frequenza d’uso. Funzionalità usate da migliaia di utenti al giorno meritano molta più attenzione rispetto a schermate secondarie che toccano solo poche persone una volta al mese. Non significa ignorare le seconde, ma dare priorità alle prime nella suite minima.
Arriva poi il criterio della storia dei bug. Se un’area è notoriamente fragile, se in passato ha generato molte regressioni, se ogni release porta con sé incidenti simili, quella zona del prodotto va difesa, anche se magari non è la più importante dal punto di vista del business. Una suite minima intelligente tiene conto della realtà, non solo dei desideri.
Il quarto criterio è la copertura trasversale. Alcuni test, se progettati bene, riescono a toccare più componenti, servizi o livelli dell’applicazione con un singolo flusso. Questi casi sono perfetti per rientrare nella suite minima, perché permettono di intercettare potenziali problemi in diversi punti con un solo passaggio.
Come costruire la suite minima passo dopo passo
Costruire una suite minima di regressione in 90 minuti è un lavoro che richiede qualche ora di design iniziale, ma che poi ripaga ad ogni release.
Mappare i flussi critici del prodotto
Il primo passo consiste nel mappare i flussi critici. Non serve un documento da 40 pagine: ti basta un elenco ragionato dei percorsi che contano di più. Per un e-commerce saranno registrazione, login, ricerca prodotti, carrello, checkout e pagamento, gestione ordini. Per un gestionale B2B potresti avere creazione cliente, gestione contratti, emissione fatture, esportazione report.
L’obiettivo non è descrivere ogni schermata, bensì identificare da tre a dieci flussi che definiscono la sopravvivenza del prodotto. Ogni flusso critico avrà almeno uno scenario di test dentro la suite minima.
Collegare flussi e rischi
Dopo la mappatura dei flussi serve un passaggio mentale in più: collegare ogni flusso a uno o più rischi. Rischio di perdita economica, rischio legale, rischio reputazionale, rischio di blocco operativo. Questo collegamento ti aiuta a motivare la presenza di ogni caso di test.
Quando parli con PM, PO o stakeholder, puoi dire per esempio: “Questo caso di test sta nella suite minima perché intercetta il rischio di non poter incassare pagamenti con carta”, invece di un generico “perché sì”. La conversazione cambia tono, diventa molto più concreta.
Scegliere il livello giusto: UI, API, integrazioni
Un errore frequente è pensare che la suite minima sia solo una serie di test manuali sulla UI. La realtà è che, in una regressione in 90 minuti, ha senso scegliere il livello più efficiente per testare un certo rischio.
Ci sono casi in cui la UI è indispensabile, ad esempio per verificare flussi utente complessi o impatti visivi. In altri scenari però un test API o un test automatico su un servizio interno può confermare rapidamente che una funzionalità core sta ancora lavorando correttamente, senza passare da dieci schermate diverse.
La suite minima ideale è spesso ibrida: include una parte manuale guidata da flussi end-to-end e una parte automatizzata che controlla in modo rapido funzioni critiche di calcolo o integrazione.
Stimare il tempo dei singoli casi
Se vuoi chiudere la regressione in 90 minuti non puoi ignorare la durata dei singoli test. Ogni caso dovrebbe avere un tempo stimato realistico: non la versione ottimistica fatta alle otto di mattina con cervello fresco, ma quella media considerata la tua giornata normale, con distrazioni e rallentamenti inclusi.
Una suite minima efficace contiene casi che, sommati, stanno all’interno di 90 minuti lasciando un minimo margine per imprevisti. Se la somma arriva a due ore e mezza, non è una suite minima, è solo una suite “un po’ più corta”.
Definire precondizioni e dati di test stabili
La migliore suite, se dipende da dati impossibili da creare o da precondizioni fragili, non verrà mai eseguita in tempo. Per ogni caso di test della suite minima conviene definire in modo chiaro le precondizioni e costruire dati di test riutilizzabili.
Un account di esempio configurato, alcuni utenti con ruoli tipici, qualche ordine già esistente, uno o due scenari pronti da aggiornare o completare. L’obiettivo è ridurre il tempo speso a “preparare il campo” e concentrarlo sull’effettiva esecuzione.
Esempio pratico: regressione in 90 minuti in un e-commerce
Per rendere tutto più concreto immaginiamo un e-commerce medio, con pagamenti online, area utente, gestione ordini e qualche funzionalità di marketing come codici sconto e wishlist.
Il team decide di creare una suite minima eseguibile in 90 minuti prima di ogni release significativa. Dopo aver discusso con PO e stakeholder, emergono i flussi davvero critici: accesso alla piattaforma, ricerca e selezione prodotti, gestione carrello, completamento ordine, pagamento, accesso all’area utente per vedere gli ordini, eventuale cancellazione o modifica.
Si sceglie quindi di avere almeno uno scenario per ciascun flusso. In pratica questo si traduce in casi come: utente che effettua un acquisto semplice con pagamento con carta, utente che usa un codice sconto valido, cliente che accede all’area personale e controlla lo storico ordini, gestione di un ordine in stato particolare.

La suite minima potrebbe poi includere uno scenario dedicato alla verifica di un’integrazione esterna sensibile, a esempio il gateway di pagamento. In questo caso può avere senso prevedere un test automatico o semi-automatico che controlli rapidamente la comunicazione tra sistemi, perché replicare tutto via UI potrebbe richiedere troppo tempo.
A questo punto si stima il tempo di ciascun caso. Il flusso di acquisto completo può richiedere tra dieci e quindici minuti se include anche controlli sui dettagli dell’ordine. La verifica dell’area utente può richiedere meno, intorno ai sette minuti. Un controllo sulla cancellazione ordine o su uno stato particolare aggiunge altri dieci minuti. Alcuni test automatizzati per verificare i calcoli di subtotale, IVA e sconti aggiungono controllo senza costare minuti di esecuzione manuale.
La somma deve stare sotto i 90 minuti. Se non ci sta, si torna ai criteri di priorità: a volte conviene fondere due scenari in uno solo più ampio, oppure spostare un controllo non critico in una suite estesa eseguibile a rotazione in momenti meno delicati.
Mantenere la suite minima nel tempo
Una suite minima non è qualcosa che costruisci una volta e poi dimentichi. Ogni nuova release, ogni cambio di strategia prodotto, ogni refactoring importante può richiedere l’aggiornamento dell’elenco dei casi.
Conviene considerare la suite minima come un artefatto vivo e versionato. Ogni modifica significativa dovrebbe essere tracciata e motivata. Quando aggiungi un test, chiediti quale rischio nuovo stai coprendo. Quando ne rimuovi uno, chiediti se quel rischio è davvero sparito o è stato inglobato in un altro scenario.
È molto utile rivedere periodicamente la suite minima, magari a cadenza trimestrale o in corrispondenza di release particolarmente grosse. Durante questa revisione puoi eliminare casi diventati obsoleti, aggiornare i flussi per riflettere la nuova UX, sostituire scenari manuali con test automatizzati stabili.
Un segnale sano è la presenza nel tempo di qualche eliminazione. Se la suite fa solo crescere il numero di test senza mai ridurlo, stai probabilmente tornando verso la palude originale da cui volevi scappare.
Relazione tra suite minima e testing esplorativo
La regressione in 90 minuti non vive nel vuoto. In un processo di qualità moderno convive con altri tipi di testing, tra cui il testing esplorativo.
La suite minima è la parte “hard” e ripetibile della regressione: casi chiari, flussi noti, tempi prevedibili. Il testing esplorativo rappresenta la parte “soft”, dove il tester indaga nuove combinazioni, scenari meno ovvi, input strani e comportamenti borderline.
Una strategia efficace prevede spesso entrambe le anime. Prima si esegue la suite minima, che assicura che il sistema non sia rotto sulle direttrici principali. Poi, se il tempo lo consente, si affianca una o più sessioni esplorative mirate, ad esempio sui componenti più modificati dalla release o sulle aree con storia di bug.
Chi guida il processo deve resistere alla tentazione di trasformare la suite minima in un contenitore di tutto. Il ruolo di “rete di sicurezza esplorativa” va lasciato a sessioni dedicate, non infilato dentro la regressione critica.
Errori da evitare quando costruisci una suite minima
Ogni team che inizia a lavorare sulla regressione in 90 minuti commette qualche errore tipico.
Il primo è quello di partire dai casi di test esistenti senza metterli mai in discussione. Ci si limita a scegliere i più comodi o i più famosi, senza chiedersi se abbiano ancora senso o se esistano alternative più efficaci. La suite minima non deve essere un sottoinsieme casuale del passato, ma una scelta fresca basata sul prodotto di oggi.
Un altro errore frequente consiste nel sovrastimare le proprie capacità di esecuzione. Si costruisce una suite che sulla carta dura 90 minuti, ma solo perché si sono ignorati tempi di login, caricamenti lenti, cambio ambiente, distrazioni e micro-problemi quotidiani. Dopo due o tre release ci si accorge che la suite dura sempre più di quanto previsto e la si inizia a saltare “quando non c’è tempo”, vanificando lo sforzo.
Molti team cadono anche nella trappola del duplicato mascherato: casi di test che fanno quasi le stesse cose con piccole variazioni, senza un reale beneficio in termini di rischio coperto. Se due scenari coprono lo stesso rischio, uno dei due è un candidato a finire nella suite estesa, non in quella minima.
Un altro errore strutturale è non avere chiaro chi decide. La suite minima non può essere il risultato di una sola persona che sceglie in solitaria, ma nemmeno un esercizio di democrazia totale dove ogni richiesta resta. Serve una discussione breve ma chiara tra QA, prodotto e, quando ha senso, sviluppo, con qualcuno che abbia la responsabilità finale della selezione.
Rendere la regressione in 90 minuti un’abitudine di team
Una suite minima ha davvero valore quando diventa routine. Non un’eccezione da usare nei momenti di panico, ma un passaggio stabile della pipeline di rilascio.
Per ottenere questo risultato è utile renderla visibile e accessibile. Documentarla nel tool di test management, avere un link chiaro, dare indicazioni su chi la esegue, quando e su quale ambiente. Più è facile trovarla e capirla, più è probabile che venga usata davvero.
Un secondo passo fondamentale riguarda la formazione incrociata. Se solo una persona sa eseguire la suite minima in modo efficace, hai creato un singolo punto di fallimento. Meglio distribuire conoscenza e confidenza: affiancamenti, sessioni condivise, rotazione tra tester.
Infine è utile collegare la suite minima a metriche semplici ma significative. Il numero di release in cui è stata eseguita, eventuali regressioni gravi sfuggite, tempo medio reale di esecuzione. Non serve trasformare tutto in KPI ossessivi, ma avere qualche numero aiuta a capire se stai migliorando o solo ripetendo un rito.
Quando la regressione in 90 minuti non basta
Ci sono contesti in cui la regressione in 90 minuti è perfetta, e altri in cui non può essere l’unico strumento. Sistemi safety-critical, ambiti regolamentati, contesti dove una singola regressione può avere impatti pesanti su salute o sicurezza richiedono livelli di copertura più ampi, con suite molto più ricche, evidenze dettagliate e magari cicli di validazione formali.
In questi casi la suite minima può comunque esistere, ma come strato aggiuntivo, non sostitutivo. Diventa una prima linea rapida, complementare a test più strutturati e lunghi.
Il punto chiave è non farsi ingannare dall’etichetta “90 minuti” come se fosse una regola scolpita nella pietra. Si tratta di un numero utile per fissare la mente su un obiettivo realistico, ma il concetto di fondo resta valido anche se il tuo contesto richiede, per esempio, 120 minuti o 60.
Conclusione
La regressione in 90 minuti non è un trucco per far passare tutto sotto silenzio, è un modo per prendere sul serio il tempo, il rischio e la realtà del lavoro quotidiano.
Una suite minima progettata bene ti costringe a fare scelte: decidere quali flussi proteggere prima, quali rischi affrontare subito, quali test lasciare alla suite estesa o al testing esplorativo. Invece di farti vivere nella finzione della “copertura totale”, ti mette di fronte a priorità esplicite.
Se oggi la tua regressione è un mostro ingestibile, la suite minima è la prima arma per rimettere ordine. Non succederà in un giorno, richiede discussioni, qualche rinuncia, qualche convinzione da rivedere. Il guadagno però è enorme: regressioni più veloci, più consapevoli, più facili da spiegare al team e agli stakeholder.
La vera domanda non è se puoi permetterti una regressione in 90 minuti. La vera domanda è se puoi continuare a portarti dietro una regressione infinita in un mondo che rilascia funzionalità ogni settimana.
Se la risposta è “no”, sai da dove iniziare: prendi carta e penna, identifica i flussi critici, valuta i rischi, costruisci la tua suite minima e falla vivere release dopo release. Il primo giro sarà imperfetto, il secondo già migliore. A quel punto la regressione in 90 minuti smetterà di essere un sogno e diventerà una parte naturale del tuo modo di fare qualità.
Se questo articolo ti è piaciuto, condivi e commenta!