Incubo ed. 2026
Incubo
È la sera del 31 dicembre 2026.
Sono sul letto, non sul divano. Non perché sia comodo, ma perché sono stanca in un modo che non è solo fisico. Ho il telefono in mano, scrollo cose a caso senza neanche registrarle, giusto per non sentire troppo forte quella vocina che continua a ripetere: “Ci sei ricascata, di nuovo.”
Il bello è che non è successo niente di clamorosamente tragico. Nessun crollo improvviso, nessuna esplosione. È stato tutto lento, diluito, quasi impercettibile. Due anni passati a rimandare, ad aggiustare, a raccontarmi che “in fondo va già bene così”. Ed eccomi qui.
🦾 Corpo
Il mio corpo pesa. Non solo sulla bilancia, proprio addosso. La schiena fa più male di due anni fa, non meno. Ho mollato la fisioterapia “perché non avevo tempo”, ho saltato gli esercizi “solo per oggi” abbastanza volte da trasformare il “solo per oggi” in “non li faccio più”. La neuropatia al piede è peggiorata, ma ci ho messo un cerotto mentale sopra: ho iniziato a muovermi il meno possibile, così “non ci penso”.
Spoiler: ci penso lo stesso. Ogni gradino, ogni passo un po’ più lungo, ogni volta che mi devo chinare e ho il terrore di restare bloccata.
Ho ripreso peso. Non quei due-tre chili scomodi, proprio quella sensazione di essere di nuovo imprigionata dentro un corpo che non riconosco. Mi vesto per coprirmi, non per piacermi. Mi alzo dal letto già stanca, e il concetto di “energia” è rimasto un ricordo del 2020. L’unica routine che ho mantenuto è quella del sedermi, stare ferma, e poi lamentarmi perché sto male.
La cosa che fa più male non è solo il corpo: è che so che l’ho lasciato andare io. Ho scelto la via più comoda, sempre. Ho rinunciato alle piccole camminate, ho lasciato perdere quelle due abitudini che mi facevano bene perché ero stanca, stressata, “non in giornata”. Sono stata io la prima a tradire il mio corpo, non il contrario.
🧠 Mente
La mente è piena di roba, ma vuota allo stesso tempo. Ho mille corsi aperti e nessuno finito. Il Full Stack è ancora lì, a metà o tre quarti, ma ormai è un’icona polverosa nel cervello, il simbolo perfetto di quello che potevo fare e non ho fatto. L’ISTQB è rimasto un “appena ho un periodo tranquillo ci penso”. Periodo tranquillo mai pervenuto.
Ho passato più ore a guardare contenuti sulla produttività e sulla crescita che a studiare davvero. Ho usato l’intelligenza artificiale per chiedere riassunti, scorciatoie, script copiati e incollati che spesso neanche capivo, invece di usarla per imparare. Ho finto di “informarmi” mentre in realtà mi stavo solo anestetizzando.
La concentrazione è esplosa in micro-frammenti da trenta secondi. Leggo due righe, prendo il telefono. Apro un video, lo salto a metà. Non riesco a stare con una sola cosa alla volta, mai. E la cosa più triste è che me ne accorgo. Sento proprio la mia mente diventare più pigra, più debole, più dipendente da stimoli veloci.
La lettura… quella che era il mio faro nel buio… si è ridotta. I libri ci sono ancora, ma li interrompo di continuo, li mollo a metà perché “non ho la testa”. Ho scambiato il mio tempio interiore con una timeline infinita di contenuti, e adesso mi mancano perfino i silenzi che mi facevano paura.
❤️️ Cuore
Il cuore, poi. Lì il colpo è più silenzioso.
Mi ero promessa che avrei coltivato le amicizie che contano, che avrei ricucito con chi meritava, che non mi sarei chiusa. Invece ho lasciato passare i giorni, i mesi, gli anni dicendo “devo scriverle”, “prima o poi ci sentiamo”, finché quel “prima o poi” è diventato semplicemente silenzio.
Le nuove conoscenze sono rimaste superficiali, amicizie da chat e reaction alle storie. Quando qualcuno provava ad andare un po’ più in profondità, a chiedere di vedersi, di costruire qualcosa, spesso ero troppo stanca, troppo presa, troppo tutto. La verità è che ero troppo spaventata: e se poi deludono, e se poi spariscono, e se poi fa male?
Con la famiglia, la distanza è aumentata. Non solo quella fisica. Ho iniziato a parlare meno, a omettere, a tenere dentro. I discorsi si sono accorciati, le chiamate ridotte al “tutto bene?” “sì dai, si va avanti”. Quelle conversazioni lunghe, quelle in cui ti racconti davvero, si sono diradate. Non c’è stato un litigio esplosivo, nessuna rottura dichiarata. Solo una lenta erosione del contatto.
Sul fronte relazioni… ho fatto esattamente quello che giuravo di non rifare.
O mi sono chiusa a riccio, raccontandomi che “sto benissimo da sola, non mi serve nessuno” mentre scrollavo foto di coppie con un misto di fastidio e invidia, oppure, quando qualcuno è entrato, ho ignorato tutti i campanelli d’allarme pur di non sentirmi di nuovo sola. Ho tollerato mancanza di rispetto, superficialità, promesse vaghe. Mi sono di nuovo finita accanto a qualcuno che non voleva costruire niente, che rideva dei miei progetti, che minimizzava i miei desideri di stabilità.
E lo sapevo. Lo riconoscevo. Eppure restavo.
Questa è la parte più schifosa: non è che non vedevo, è che non volevo vedere.

🧘 Anima
L’anima nel frattempo si è asciugata.
Niente più piccoli rituali, niente più bagni caldi con candele “perché non ho tempo” (ma per scrollare fino all’una di notte il tempo l’ho trovato spesso).
Niente camminate consapevoli, niente momenti per stare solo con me stessa e un libro. Ho riempito ogni spazio con rumore: video, notifiche, messaggi, feed. Ho spento il silenzio perché mi dava fastidio sentire quanto mi stessi spegnendo.
È una strana forma di vuoto, quella che ho dentro adesso: non è dramma, è una specie di aridità silenziosa. Come se avessi consumato tutti i colori e mi fosse rimasto solo un grigio tiepido, sopportabile ma insopportabile allo stesso tempo.
💼 Abito
L’Abito… lì brucia davvero.
Sono ancora nello stesso ruolo o in qualcosa di molto simile. La RAL è forse salita di un’inezia, giusto quel tanto che basta a non poter dire apertamente “è uno schifo”, ma non abbastanza da cambiare la mia realtà. Continuo a farmi carico di responsabilità, di task, di problemi da risolvere, ma a livello di riconoscimento siamo sempre lì: “sei preziosissima”, “sei fondamentale”, “sei una risorsa”. A parole.
Non ho avuto il coraggio di cercare altro davvero. Ho guardato annunci, ho aperto pagine, ho iniziato a compilare candidature… poi qualcosa dentro diceva “non sei abbastanza preparata”, “non sei all’altezza”, “e se poi va peggio?”, e richiudevo tutto. Ho usato la stanchezza come scusa per non mettere in discussione niente. E l’azienda l’ha capito. Perché un posto che ti sfrutta impara in fretta a capire quando hai paura di andare via.
La PI è un mezzo disastro. Non l’ho strutturata, non l’ho nutrita. Quando arrivava un cliente prendevo quello che c’era, ai prezzi che c’erano, nei modi che c’erano. Ho accettato compromessi, lavori sottopagati, richieste fuori orario “tanto sei freelance, è normale”. E più lavoravo così, più odiavo quel lavoro che aveva il potenziale di essere la mia via di libertà.
CLARA, i progetti, le idee, tutto quello che volevo creare… sono diventati file in cartelle che non apro da mesi. Ogni tanto ci penso e sento quella fitta di nostalgia per la versione di me che ci credeva davvero. Poi mi dico “ormai è passato troppo tempo”, e lascio stare.
💰Portafoglio
Il Portafoglio è il riassunto perfetto di tutto questo.
Risparmi veri non ne ho. Quello che riuscivo a mettere via piano piano si è mangiato imprevisti, bollette, rincari, emergenze. Quell’idea del 20% di risparmio fisso è rimasta sulla carta. Ho avuto mesi in cui non solo non risparmiavo, ma andavo in affanno. Ogni spesa un po’ più grossa mi portava al limite, ogni notizia sull’economia mi accendeva l’ansia.
Il mutuo è sempre lì, gigantesco, lontanissimo dall’essere estinto. Non l’ho accorciato, non l’ho alleggerito. Ogni volta che pensavo di fare un extra versamento, arrivava qualcosa a ricordarmi che “non è il momento”.
E il pensiero di arrivare a 60, 70 anni così… sinceramente, mi terrorizza. Perché se questi due anni sono volati e io sono rimasta quasi ferma, so benissimo che i prossimi dieci possono scivolare allo stesso modo, uno dopo l’altro, mentre mi racconto che “è solo una fase”.
Conclusione
La parte peggiore di tutto questo incubo è una sola:
so esattamente dove ho sabotato me stessa.
So i giorni in cui ho scelto il divano invece della fisioterapia.
So i momenti in cui ho aperto TikTok invece del corso.
So le volte in cui ho ingoiato mancanza di rispetto pur di non rimanere sola.
So i “ci penso domani” diventati mesi, anni.
So ogni volta in cui ho tradito la me che voleva di più, scegliendo la me che voleva solo non sentire fatica.
È la sera del 31 dicembre 2026 e sto guardando in faccia la versione di me che ha lasciato vincere le peggiori abitudini: il rimando, l’anestesia, l’accontentarsi, il “tanto ormai”.
La guardo e mi fa paura.
Mi fa schifo.
Mi fa rabbia.
Perché so che non è il destino, non è sfortuna, non è il mondo cattivo e basta.
Sono io che, scelta dopo scelta, mi sono spenta da sola.
Ed è esattamente questo pensiero, questa rabbia qui, che non voglio più dimenticare.
Se questo articolo ti è piaciuto, condivi e commenta!